Argomento del canto
Sosta alla tomba di papa Anastasio – Ordinamento dei peccati nell’Inferno – Domande di Dante
Mancano poco più di due ore all’alba del 26 marzo (o 9 aprile). Sabato Santo
Sovrastati dall’orribile puzzo che proviene dal profondo abisso, Dante e Virgilio si ritraggono da una grande frana e si accostano, in dietro, alla tomba di un papa del V sec., Anastasio, a cui Dante attribuisce, secondo le fonti del suo tempo, l’eresia di credere Cristo solo uomo. La sosta è, come spiega Virgilio, necessaria perché si abituino all’odore persistente in modo da non avvertirlo più. Dante chiede al suo maestro che ‘l tempo non passi perduto.
Chissà se la risposta rapida di Virgilio -“Vedi ch’a ciò penso”- non tradisca una velata insofferenza nei confronti dell’allievo impaziente... Comincia qui una lezione che si rivolge a Dante e a noi in cui Virgilio, portavoce della Ragione umana, presenta la ripartizione dei peccatori nell’inferno. Scopriamo che questa ripartizione deriva da Aristotele, il filosofo greco del IV sec. a.C. già incontrato nel Limbo, fondamento della filosofia di san Tommaso d’Aquino a cui Dante si rifà. La lezione è anche per noi una sorta di anticipazione del viaggio. Ci aspettano i peccatori che hanno commesso violenza e quelli che hanno commesso frode che hanno cioè tradito.
I primi, nel settimo cerchio, sono divisi in tre gruppi, quelli che hanno fatto violenza a Dio, a sé e al prossimo. Nello stesso raggruppamento dei violenti contro Dio, i bestemmiatori, si incontreranno gli omosessuali, violenti contro natura secondo principi teologici medievali, e gli usurai.
Dante interviene nella lezione con domande che rivelano il piacere del suo dubbiar, la sua ammirazione per Virgilio, “o sole che sani ogni vista turbata”, perché sa sciogliere il groppo, il nodo problematico di ciò che racconta.
Sono due le domande di Dante, redarguito dal maestro perché delira, esce cioè dal solco tracciato dal suo ‘ngegno e dalla sua cultura filosofica. Per rispondere a entrambe le domande basta ricordare i testi di Aristotele...
La prima domanda: perché i peccatori che abbiamo incontrato -gli iracondi e gli accidiosi nella palude Stigia, i lussuriosi nel vento, i golosi nella pioggia, gli avari e i prodighi che si insultano- perché non sono qui, dentro l’infocata città di Dite? Il loro peccato di incontenenza consente che la divina vendetta li martelli con meno vigore perché, di fatto, non hanno che esagerato: le passioni che li hanno animati sono naturali e non riprovevoli.
La seconda domanda riguarda l’usura: perché offende la divina bontade? Secondo le leggi di Dio è il lavoro, l’arte come si diceva nel Medioevo, che dà sostentamento all’uomo e non il denaro che deve essere solo strumento di scambio e non creatore esso stesso di denaro. In questa osservazione è chiara la polemica di Dante nei confronti di quel processo oggi noto come finanziarizzazione dell’economia.
Ormai è tempo di muoversi, stabilisce Virgilio. Dalla frana, un po’ più in là, si può discendere.
Testo del canto
In su l'estremità d'un'alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio
venimmo sopra più crudele stipa;
e quivi, per l'orribile soperchio
del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio
d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta
che dicea: «Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta».
«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso».
«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que' che lassi.
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.
D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista.
Ma perché frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale.
Di violenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto.
A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione.
Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose;
onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere.
Puote omo avere in sé man violenta
e ne' suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov'esser de' giocondo.
Puossi far forza nella deitade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade;
e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella.
La frode, ond'ogne coscienza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa.
Questo modo di retro par ch'incida
pur lo vinco d'amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s'annida
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura.
Per l'altro modo quell'amor s'oblia
che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
di che la fede spezial si cria;
onde nel cerchio minore, ov'è 'l punto
de l'universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto».
E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede.
Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s'incontran con sì aspre lingue,
perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
Ed elli a me «Perché tanto delira»,
disse «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira?
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che 'l ciel non vole,
incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta?
Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza,
tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli».
«O sol che sani ogni vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.
Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
diss'io, «là dove di' ch'usura offende
la divina bontade, e 'l groppo solvi».
«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende
dal divino 'ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte,
che l'arte vostra quella, quanto pote,
segue, come 'l maestro fa 'l discente;
sì che vostr'arte a Dio quasi è nepote.
Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente;
e perché l'usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch'in altro pon la spene.
Ma seguimi oramai, che 'l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,
e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace,
e 'l balzo via là oltra si dismonta».
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