Argomento del canto
Cerchio VIII, Malebolge – Quinta bolgia: i barattieri – Ciampòlo di Navarra – Zuffa dei diavoli
Tra le 7 e le 8 del mattino del 26 marzo (o 9 aprile). Sabato Santo
In apertura di canto, una divertita rassegna di situazioni militari e cavalleresche con campane e tamburi dimostra che lo strano strumento a fiato usato dai diavoli alla partenza non si era proprio mai sentito.
Dante, per vedere ogni dettaglio della bolgia, se ne va con la fiera compagnia dei dieci diavoli, ma ne la chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni. Alcuni dannati, per alleggerire la pena, inarcano la schiena sopra la superficie come dalfini scomparendo in un baleno nella pece. Altri, come ranocchi, a l’orlo de l’acqua di un fosso, solo con il muso fuori, appena si avvicina Barbariccia si ritraggono sotto i bollori. Che raccapriccio il ricordo di uno che si attarda a gettarsi, subito uncinato da Graffiacane nelle chiome impegolate. I maladetti incitano Rubicante a scuoiarlo. Dante vorrebbe sapere chi sia lo sciagurato. Gli parla Virgilio a cui racconta di essere figlio d’un ribaldo, suicida e scialacquatore. È il barattiere Ciampólo del regno spagnolo di Navarra. Ciriatto lo lacera con una delle sue due zanne da cinghiale. Barbariccia lo afferra come gatte cattive prendono ‘l sorcio e allontana gli altri diavoli consentendo a Virgilio di fargli altre domande: “Conosci qualche italiano sotto la pece?” “Ne ho appena lasciato uno di una terra vicina. Magari fossi ancora con lui!” Libicocco sbotta: “Abbiamo avuto troppa pazienza” e con l’uncino gli straccia un lacerto del braccio. Anche Draghignazzo ci dà dentro e lo colpisce a le gambe. Interviene Barbariccia a calmarli così che Virgilio può riprendere il dialogo e conoscere il nome del sardo che era con lui, un certo frate Gomíta, che se la intende con un altro sardo, Michele Zanche, barattiere come loro. C’è Farfarello che vuole ancora ferirlo, ma Barbariccia lo trattiene. Ciampolo è assediato dai diavoli, impaurito, ma è capace di tanti raggiri: “Se voi volete vedere Toschi o Lombardi, basta che i Malebranche stiano un po’ in là, io suffolerò come usiamo fare di solito per avvisare che si può uscire dalla pece”. Cagnazzo non si fida e teme un inganno per gittarsi giù, ma Ciampolo la sa lunga e finge il rimorso di prestarsi a raggirare i suoi compagni di pena. Alichino, sicuro che con le ali possa essere più veloce, induce gli altri diavoli a scostarsi: “Vediamo se tu solo vali più di noi” sono le sue parole di sfida al dannato.
Davvero incredibile la gara che adesso udremo: i diavoli si spostano per nascondersi, il Navarrese coglie bene l’attimo, punta i piedi e spicca un salto. Quello che più si sente in colpa è Alichino che grida: “Ti prendo!”. Ma la paura è più veloce delle ali e Ciampolo va sotto mentre l’altro scornato vola suso. Irato Calcabrina insegue Alichino e si azzuffa con lui. Cadono entrambi nello stagno bollente. Il caldo li separa subito, ma non riescono a sollevarsi perché le ali si impregnano di pece. È Barbariccia avvilito a ordinare il recupero dei due già cotti, con gli uncini di altri quattro diavoli.
Dante e Virgilio li lasciano così ‘mpacciati.
Testo del canto
Io vidi già cavalier muover campo,
e cominciare stormo e far lor mostra,
e talvolta partir per loro scampo;
corridor vidi per la terra vostra,
o Aretini, e vidi gir gualdane,
fedir torneamenti e correr giostra;
quando con trombe, e quando con campane,
con tamburi e con cenni di castella,
e con cose nostrali e con istrane;
né già con sì diversa cennamella
cavalier vidi muover né pedoni,
né nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li diece demoni.
Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
Pur a la pegola era la mia 'ntesa,
per veder de la bolgia ogne contegno
e de la gente ch'entro v'era incesa.
Come i dalfini, quando fanno segno
a' marinar con l'arco de la schiena,
che s'argomentin di campar lor legno,
talor così, ad alleggiar la pena,
mostrav'alcun de' peccatori il dosso
e nascondea in men che non balena.
E come a l'orlo de l'acqua d'un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fuori,
sì che celano i piedi e l'altro grosso,
sì stavan d'ogne parte i peccatori;
ma come s'appressava Barbariccia,
così si ritraén sotto i bollori.
I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia,
uno aspettar così, com'elli 'ncontra
ch'una rana rimane e l'altra spiccia;
e Graffiacan, che li era più di contra,
li arruncigliò le 'mpegolate chiome
e trassel sù, che mi parve una lontra.
I' sapea già di tutti quanti 'l nome,
sì li notai quando fuorono eletti,
e poi ch'e' si chiamaro, attesi come.
«O Rubicante, fa che tu li metti
li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,
gridavan tutti insieme i maladetti.
E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,
che tu sappi chi è lo sciagurato
venuto a man de li avversari suoi».
Lo duca mio li s'accostò allato;
domandollo ond'ei fosse, e quei rispuose:
«I' fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d'un segnor mi puose,
che m'avea generato d'un ribaldo,
distruggitor di sé e di sue cose.
Poi fui famiglia del buon re Tebaldo:
quivi mi misi a far baratteria;
di ch'io rendo ragione in questo caldo».
E Ciriatto, a cui di bocca uscia
d'ogne parte una sanna come a porco,
li fé sentir come l'una sdruscia.
Tra male gatte era venuto 'l sorco;
ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
e disse: «State in là, mentr'io lo 'nforco».
E al maestro mio volse la faccia:
«Domanda», disse, «ancor, se più disii
saper da lui, prima» ch'altri 'l disfaccia».
Lo duca dunque: «Or dì : de li altri rii
conosci tu alcun che sia latino
sotto la pece?». E quelli: «I' mi partii,
poco è, da un che fu di là vicino.
Così foss'io ancor con lui coperto,
ch'i' non temerei unghia né uncino!».
E Libicocco «Troppo avem sofferto»,
disse; e preseli 'l braccio col runciglio,
sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
Draghignazzo anco i volle dar di piglio
giuso a le gambe; onde 'l decurio loro
si volse intorno intorno con mal piglio.
Quand'elli un poco rappaciati fuoro,
a lui, ch'ancor mirava sua ferita,
domandò 'l duca mio sanza dimoro:
«Chi fu colui da cui mala partita
di' che facesti per venire a proda?».
Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,
quel di Gallura, vasel d'ogne froda,
ch'ebbe i nemici di suo donno in mano,
e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
Danar si tolse, e lasciolli di piano,
sì com'e' dice; e ne li altri offici anche
barattier fu non picciol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche
di Logodoro; e a dir di Sardigna
le lingue lor non si sentono stanche.
Omè, vedete l'altro che digrigna:
i' direi anche, ma i' temo ch'ello
non s'apparecchi a grattarmi la tigna».
E 'l gran proposto, vòlto a Farfarello
che stralunava li occhi per fedire,
disse: «Fatti 'n costà, malvagio uccello!».
«Se voi volete vedere o udire»,
ricominciò lo spaurato appresso
«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;
ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
sì ch'ei non teman de le lor vendette;
e io, seggendo in questo loco stesso,
per un ch'io son, ne farò venir sette
quand'io suffolerò, com'è nostro uso
di fare allor che fori alcun si mette».
Cagnazzo a cotal motto levò 'l muso,
crollando 'l capo, e disse: «Odi malizia
ch'elli ha pensata per gittarsi giuso!».
Ond'ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia,
rispuose: «Malizioso son io troppo,
quand'io procuro a' mia maggior trestizia».
Alichin non si tenne e, di rintoppo
a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
io non ti verrò dietro di gualoppo,
ma batterò sovra la pece l'ali.
Lascisi 'l collo, e sia la ripa scudo,
a veder se tu sol più di noi vali».
O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
ciascun da l'altra costa li occhi volse;
quel prima, ch'a ciò fare era più crudo.
Lo Navarrese ben suo tempo colse;
fermò le piante a terra, e in un punto
saltò e dal proposto lor si sciolse.
Di che ciascun di colpa fu compunto,
ma quei più che cagion fu del difetto;
però si mosse e gridò: «Tu se' giunto!».
Ma poco i valse: ché l'ali al sospetto
non potero avanzar: quelli andò sotto,
e quei drizzò volando suso il petto:
non altrimenti l'anitra di botto,
quando 'l falcon s'appressa, giù s'attuffa,
ed ei ritorna sù crucciato e rotto.
Irato Calcabrina de la buffa,
volando dietro li tenne, invaghito
che quei campasse per aver la zuffa;
e come 'l barattier fu disparito,
così volse li artigli al suo compagno,
e fu con lui sopra 'l fosso ghermito.
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno
ad artigliar ben lui, e amendue
cadder nel mezzo del bogliente stagno.
Lo caldo sghermitor sùbito fue;
ma però di levarsi era neente,
sì avieno inviscate l'ali sue.
Barbariccia, con li altri suoi dolente,
quattro ne fé volar da l'altra costa
con tutt'i raffi, e assai prestamente
di qua, di là discesero a la posta;
porser li uncini verso li 'mpaniati,
ch'eran già cotti dentro da la crosta;
e noi lasciammo lor così 'mpacciati.
I nostri Mecenate
SicComeDante è un progetto gestito dall'Associazione Culturale inPrimis - APS. Se vuoi sostenere questo progetto, puoi fare una donazione e, a seconda dell'importo, sarai pubblicato tra i nostri Mecenate accanto al tuo canto, terzina o verso preferito. Scopri di più o dona ora.