Canto XXIII

Lo duca mio di sùbito mi prese, come la madre ch'al romore è desta e vede presso a sé le fiamme accese

Argomento del canto

Cerchio VIII, Malebolge – Fuga dai diavoli - Sesta bolgia: gli ipocriti – i due Frati Godenti – Caifas – La bugia di Malacoda


Verso le 9 del mattino del 26 marzo (o 9 aprile). Sabato Santo

Come un figlio tra oro ingannatore

In silenzio e soli camminano uno dietro l’altro mentre Dante va con il pensiero alla recente rissa. Da quel pensiero gliene scoppia un altro: i diavoli, scherniti con danno e con beffa, saranno furiosi e li inseguiranno crudeli. Si sente arricciar tutti li peli de la paura e prega Virgilio che si nascondano. Sente i Malebranche già dietro di loro. Non fa fatica Virgilio a capire che cosa Dante provi dentro anche perché è in assoluta sintonia: per sfuggire alla probabile caccia, devono scendere lungo la parete dell’altra bolgia se non è troppo ripida. Non ha ancora finito di parlare che Dante vede venire i diavoli con l’ali tese per acciuffarli. Virgilio subito lo prende sovra ‘l suo petto come la madre che salva il figlio dalle fiamme avendo più di lui che di sé cura e si getta supino giù dalla roccia fino al fondo della sesta bolgia. Sono salvi: Dio non ha dato ai diavoli il potere di allontanarsi dalla quinta di cui sono ministri.

Trovano gente che va con passi lenti piangendo. Indossano cappe da monaci con cappucci bassi dinanzi a li occhi. Di fuori sono dorate ma dentro tutte piombo, pesantissime. Basta un passo per superarli. Dante chiede a Virgilio di aiutarlo a trovare qualcuno di conosciuto e la sua parlata toscana viene individuata da un dannato che gli chiede di fermarsi. Sono in due che mostrano gran fretta di incontrarlo, ma sono ritardati dal peso dell’abito e dalla via stretta. Par loro che Dante sia vivo e si chiedono perché vada senza la cappa degli ipocriti che lì sono puniti. Dante rivela di essere fiorentino e di essere lì col corpo che ha sempre avuto. “Ma voi chi siete che piangete così forte e scontate una pena che sì sfavilla d’oro?”. Si presentano: sono bolognesi di un ordine religioso comunemente detto dei frati Godenti perché poco si dedicano allo spirito. Uno si chiama Catalano ed è guelfo, l’altro Loderingo ed è ghibellino. Hanno governato insieme nel 1266 Firenze per pacificarla, ma hanno fallito il loro compito.

Dante si rivolge a loro: “O frati, i vostri mali...”, ma lo distrae la vista di uno crucefisso in terra con tre pali che soffia ne la barba con sospiri. Lo calpestano le anime degli ipocriti. È Caifas, il sommo sacerdote ebreo che, con un falso ragionamento, ha consigliato ai Farisei la condanna di Cristo. Come lui sono crocefissi in questa fossa tutti i membri del suo stesso concilio.

Virgilio chiede il passaggio alla bolgia successiva. Ponti non ce ne sono -informa Catalano- ma c’è la possibilità di risalire lungo la frana di uno di quelli crollati. Virgilio rimane un poco a testa china perché solo ora consapevole di essere stato ingannato da Malacoda che gli ha annunciato un ponte. Eppure, dice il frate, si sa che il diavolo è bugiardo. Un po’ ingenuo il nostro duca che, turbato e un po’ irato, se ne va a gran passi seguito fedelmente dal suo discepolo che lo ha caro.

Testo del canto

Taciti, soli, sanza compagnia

n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo,

come frati minor vanno per via.


Vòlt'era in su la favola d'Isopo

lo mio pensier per la presente rissa,

dov'el parlò de la rana e del topo;


ché più non si pareggia 'mo' e 'issa'

che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia

principio e fine con la mente fissa.


E come l'un pensier de l'altro scoppia,

così nacque di quello un altro poi,

che la prima paura mi fé doppia.


Io pensava così: 'Questi per noi

sono scherniti con danno e con beffa

sì fatta, ch'assai credo che lor nòi.


Se l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa,

ei ne verranno dietro più crudeli

che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa'.


Già mi sentia tutti arricciar li peli

de la paura e stava in dietro intento,

quand'io dissi: «Maestro, se non celi


te e me tostamente, i' ho pavento

d'i Malebranche. Noi li avem già dietro;

io li 'magino sì, che già li sento».


E quei: «S'i' fossi di piombato vetro,

l'imagine di fuor tua non trarrei

più tosto a me, che quella dentro 'mpetro.


Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei,

con simile atto e con simile faccia,

sì che d'intrambi un sol consiglio fei.


S'elli è che sì la destra costa giaccia,

che noi possiam ne l'altra bolgia scendere,

noi fuggirem l'imaginata caccia».


Già non compié di tal consiglio rendere,

ch'io li vidi venir con l'ali tese

non molto lungi, per volerne prendere.


Lo duca mio di sùbito mi prese,

come la madre ch'al romore è desta

e vede presso a sé le fiamme accese,


che prende il figlio e fugge e non s'arresta,

avendo più di lui che di sé cura,

tanto che solo una camicia vesta;


e giù dal collo de la ripa dura

supin si diede a la pendente roccia,

che l'un de' lati a l'altra bolgia tura.


Non corse mai sì tosto acqua per doccia

a volger ruota di molin terragno,

quand'ella più verso le pale approccia,


come 'l maestro mio per quel vivagno,

portandosene me sovra 'l suo petto,

come suo figlio, non come compagno.


A pena fuoro i piè suoi giunti al letto

del fondo giù, ch'e' furon in sul colle

sovresso noi; ma non lì era sospetto;


ché l'alta provedenza che lor volle

porre ministri de la fossa quinta,

poder di partirs'indi a tutti tolle.


Là giù trovammo una gente dipinta

che giva intorno assai con lenti passi,

piangendo e nel sembiante stanca e vinta.


Elli avean cappe con cappucci bassi

dinanzi a li occhi, fatte de la taglia

che in Clugnì per li monaci fassi.


Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia;

ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,

che Federigo le mettea di paglia.


Oh in etterno faticoso manto!

Noi ci volgemmo ancor pur a man manca

con loro insieme, intenti al tristo pianto;


ma per lo peso quella gente stanca

venìa sì pian, che noi eravam nuovi

di compagnia ad ogne mover d'anca.


Per ch'io al duca mio: «Fa che tu trovi

alcun ch'al fatto o al nome si conosca,

e li occhi, sì andando, intorno movi».


E un che 'ntese la parola tosca,

di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,

voi che correte sì per l'aura fosca!


Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi».

Onde 'l duca si volse e disse: «Aspetta

e poi secondo il suo passo procedi».


Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta

de l'animo, col viso, d'esser meco;

ma tardavali 'l carco e la via stretta.


Quando fuor giunti, assai con l'occhio bieco

mi rimiraron sanza far parola;

poi si volsero in sé, e dicean seco:


«Costui par vivo a l'atto de la gola;

e s'e' son morti, per qual privilegio

vanno scoperti de la grave stola?».


Poi disser me: «O Tosco, ch'al collegio

de l'ipocriti tristi se' venuto,

dir chi tu se' non avere in dispregio».


E io a loro: «I' fui nato e cresciuto

sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa,

e son col corpo ch'i' ho sempre avuto.


Ma voi chi siete, a cui tanto distilla

quant'i' veggio dolor giù per le guance?

e che pena è in voi che sì sfavilla?».


E l'un rispuose a me: «Le cappe rance

son di piombo sì grosse, che li pesi

fan così cigolar le lor bilance.


Frati Godenti fummo, e bolognesi;

io Catalano e questi Loderingo

nomati, e da tua terra insieme presi,


come suole esser tolto un uom solingo,

per conservar sua pace; e fummo tali,

ch'ancor si pare intorno dal Gardingo».


Io cominciai: «O frati, i vostri mali...»;

ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse

un, crucifisso in terra con tre pali.


Quando mi vide, tutto si distorse,

soffiando ne la barba con sospiri;

e 'l frate Catalan, ch'a ciò s'accorse,


mi disse: «Quel confitto che tu miri,

consigliò i Farisei che convenia

porre un uom per lo popolo a' martìri.


Attraversato è, nudo, ne la via,

come tu vedi, ed è mestier ch'el senta

qualunque passa, come pesa, pria.


E a tal modo il socero si stenta

in questa fossa, e li altri dal concilio

che fu per li Giudei mala sementa».


Allor vid'io maravigliar Virgilio

sovra colui ch'era disteso in croce

tanto vilmente ne l'etterno essilio.


Poscia drizzò al frate cotal voce:

«Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci

s'a la man destra giace alcuna foce


onde noi amendue possiamo uscirci,

sanza costrigner de li angeli neri

che vegnan d'esto fondo a dipartirci».


Rispuose adunque: «Più che tu non speri

s'appressa un sasso che de la gran cerchia

si move e varca tutt'i vallon feri,


salvo che 'n questo è rotto e nol coperchia:

montar potrete su per la ruina,

che giace in costa e nel fondo soperchia».


Lo duca stette un poco a testa china;

poi disse: «Mal contava la bisogna

colui che i peccator di qua uncina».


E 'l frate: «Io udi' già dire a Bologna

del diavol vizi assai, tra ' quali udi'

ch'elli è bugiardo, e padre di menzogna».


Appresso il duca a gran passi sen gì,

turbato un poco d'ira nel sembiante;

ond'io da li 'ncarcati mi parti'


dietro a le poste de le care piante.


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