Canto II

Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso nel falso il creder tuo, se bene ascolti l'argomentar ch'io li farò avverso.

Argomento del canto

Appello ai lettori – Dante e Beatrice penetrano nella luna – Le macchie solari: opinione di Dante e confutazione di Beatrice


Prime ore pomeridiane del 30 marzo (o 13 aprile)


La realtà si spiega con Dio

Dante si rivolge ora ai suoi lettori, quelli poco attrezzati dal punto di vista di vista culturale: “O voi che siete in piccioletta barca, tornate indietro. Io navigo in acqua mai esplorata con il sostegno della stessa Minerva, l’intelligenza, di Appollo, Dio stesso, e delle Muse, le arti. Seguitemi solo se siete tra quei pochi che fin dalla giovinezza vi siete nutriti di sapere, il pan degli angeli. Seguitemi, voi pochi: avrete di che stupirvi”.

Dante guarda Beatrice che a sua volta guarda in alto. Senza accorgersi, sta salendo. È un gioco di sguardi che dà potenza e velocità alla sua ascesa. Sale veloce con desiderio quando una mirabile cosa lo distoglie dallo sguardo di Beatrice. Beatrice, a cui Dante non può nascondere nulla, se ne accorge e si rivolge a lui lieta e bella. Gli spiega che sono congiunti alla luna, proprio dentro alla luna e Dante lo è con tutto il suo corpo in un modo che sulla terra non si può spiegare. A Dante pare di essere coperto insieme a Beatrice da una nube lucida, spessa, solida e pulita: ecco la mirabile cosa.

Dante ringrazia Dio di essere lontano dal mortal mondo e subito pone una domanda come spesso succederà e come è già accaduto: ma come si spiegano queste macchie sulla luna nelle quali sulla terra i superstiziosi vedono Caino?

Beatrice sorride comprensiva, ma prima di rispondere, da brava maestra, lo interroga: “Tu che cosa ne pensi?”. Dante risponde come aveva già scritto in un’opera precedente: la spiegazione è che la materia della luna ha diverse densità. Là dove è più densa è scura, là dove è meno densa è chiara. Ma questa teoria è falsa e Beatrice argomenta, come una vera filosofa, con grande rigore, smontando la tesi di Dante che è anche quella di alcuni filosofi del Medioevo, e da questa questione specifica arriva a parlare di come gli angeli, beati motori per conto di Dio, influenzino in modo diverso i diversi cieli e, attraverso i cieli, la terra.

I cieli -Beatrice dice a Dante- sono organi del mondo e le macchie della luna non dipendono dalla diversa densità della sua materia – è questa una spiegazione fisica, scientifica-, ma dipendono dalla diversa virtù, cioè dalla diversa luce che Dio diffonde nei cieli per influenzare la terra. Il turbo (lo scuro) e il chiaro della luna, secondo le parole competenti di Beatrice, hanno questa spiegazione teologica.

Testo del canto

O voi che siete in piccioletta barca,


desiderosi d'ascoltar, seguiti


dietro al mio legno che cantando varca,


 


tornate a riveder li vostri liti:


non vi mettete in pelago, ché forse,


perdendo me, rimarreste smarriti.


 


L'acqua ch'io prendo già mai non si corse;


Minerva spira, e conducemi Appollo,


e nove Muse mi dimostran l'Orse.


 


Voialtri pochi che drizzaste il collo


per tempo al pan de li angeli, del quale


vivesi qui ma non sen vien satollo,


 


metter potete ben per l'alto sale


vostro navigio, servando mio solco


dinanzi a l'acqua che ritorna equale.


 


Que' gloriosi che passaro al Colco


non s'ammiraron come voi farete,


quando Iasón vider fatto bifolco.


 


La concreata e perpetua sete


del deiforme regno cen portava


veloci quasi come 'l ciel vedete.


 


Beatrice in suso, e io in lei guardava;


e forse in tanto in quanto un quadrel posa


e vola e da la noce si dischiava,


 


giunto mi vidi ove mirabil cosa


mi torse il viso a sé; e però quella


cui non potea mia cura essere ascosa,


 


volta ver' me, sì lieta come bella,


«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,


«che n'ha congiunti con la prima stella».


 


Parev'a me che nube ne coprisse


lucida, spessa, solida e pulita,


quasi adamante che lo sol ferisse.


 


Per entro sé l'etterna margarita


ne ricevette, com'acqua recepe


raggio di luce permanendo unita.


 


S'io era corpo, e qui non si concepe


com'una dimensione altra patio,


ch'esser convien se corpo in corpo repe,


 


accender ne dovrìa più il disio


di veder quella essenza in che si vede


come nostra natura e Dio s'unio.


 


Lì si vedrà ciò che tenem per fede,


non dimostrato, ma fia per sé noto


a guisa del ver primo che l'uom crede.


 


Io rispuosi: «Madonna, sì devoto


com'esser posso più, ringrazio lui


lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.


 


Ma ditemi: che son li segni bui


di questo corpo, che là giuso in terra


fan di Cain favoleggiare altrui?».


 


Ella sorrise alquanto, e poi «S'elli erra


l'oppinion», mi disse, «d'i mortali


dove chiave di senso non diserra,


 


certo non ti dovrien punger li strali


d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi


vedi che la ragione ha corte l'ali.


 


Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».


E io: «Ciò che n'appar qua sù diverso


credo che fanno i corpi rari e densi».


 


Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso


nel falso il creder tuo, se bene ascolti


l'argomentar ch'io li farò avverso.


 


La spera ottava vi dimostra molti


lumi, li quali e nel quale e nel quanto


notar si posson di diversi volti.


 


Se raro e denso ciò facesser tanto,


una sola virtù sarebbe in tutti,


più e men distributa e altrettanto.


 


Virtù diverse esser convegnon frutti


di princìpi formali, e quei, for ch'uno,


seguiterìeno a tua ragion distrutti.


 


Ancor, se raro fosse di quel bruno


cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte


fora di sua materia sì digiuno


 


esto pianeto, o, sì come comparte


lo grasso e 'l magro un corpo, così questo


nel suo volume cangerebbe carte.


 


Se 'l primo fosse, fora manifesto


ne l'eclissi del sol per trasparere


lo lume come in altro raro ingesto.


 


Questo non è: però è da vedere


de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,


falsificato fia lo tuo parere.


 


S'elli è che questo raro non trapassi,


esser conviene un termine da onde


lo suo contrario più passar non lassi;


 


e indi l'altrui raggio si rifonde


così come color torna per vetro


lo qual di retro a sé piombo nasconde.


 


Or dirai tu ch'el si dimostra tetro


ivi lo raggio più che in altre parti,


per esser lì refratto più a retro.


 


Da questa instanza può deliberarti


esperienza, se già mai la provi,


ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.


 


Tre specchi prenderai; e i due rimovi


da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,


tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.


 


Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso


ti stea un lume che i tre specchi accenda


e torni a te da tutti ripercosso.


 


Ben che nel quanto tanto non si stenda


la vista più lontana, lì vedrai


come convien ch'igualmente risplenda.


 


Or, come ai colpi de li caldi rai


de la neve riman nudo il suggetto


e dal colore e dal freddo primai,


 


così rimaso te ne l'intelletto


voglio informar di luce sì vivace,


che ti tremolerà nel suo aspetto.


 


Dentro dal ciel de la divina pace


si gira un corpo ne la cui virtute


l'esser di tutto suo contento giace.


 


Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,


quell'esser parte per diverse essenze,


da lui distratte e da lui contenute.


 


Li altri giron per varie differenze


le distinzion che dentro da sé hanno


dispongono a lor fini e lor semenze.


 


Questi organi del mondo così vanno,


come tu vedi omai, di grado in grado,


che di sù prendono e di sotto fanno.


 


Riguarda bene omai sì com'io vado


per questo loco al vero che disiri,


sì che poi sappi sol tener lo guado.


 


Lo moto e la virtù d'i santi giri,


come dal fabbro l'arte del martello,


da' beati motor convien che spiri;


 


e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello,


de la mente profonda che lui volve


prende l'image e fassene suggello.


 


E come l'alma dentro a vostra polve


per differenti membra e conformate


a diverse potenze si risolve,


 


così l'intelligenza sua bontate


multiplicata per le stelle spiega,


girando sé sovra sua unitate.


 


Virtù diversa fa diversa lega


col prezioso corpo ch'ella avviva,


nel qual, sì come vita in voi, si lega.


 


Per la natura lieta onde deriva,


la virtù mista per lo corpo luce


come letizia per pupilla viva.


 


Da essa vien ciò che da luce a luce


par differente, non da denso e raro;


essa è formal principio che produce,


 


conforme a sua bontà, lo turbo e 'l chiaro».


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