Argomento del canto
Il conforto di Beatrice e altri spiriti combattenti (Giosuè, Maccabeo, Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d’Orange, Renoardo, Goffredo di Buglione, Roberto Guiscardo) – Salita al cielo di Giove – Lettere luminose e l’aquila – Invettiva contro la curia pontificia
Prime ore del 31 marzo (14 aprile).
Cacciaguida, specchio di Dio, gode del suo pensiero, mentre Dante cerca di attenuare il gusto aspro dell’esilio con quello dolce della gloria. Con amorose parole, Beatrice, il suo conforto, la donna che lo conduce alla giustizia divina, lo consola.
Dante vede nei suoi occhi santi tanto indicibile amore che, rimirando lei, smette di desiderare altro. Vincendolo con la luce di un sorriso, Beatrice gli dice: “Volgiti attorno e ascolta: il paradiso non è solo ne’ miei occhi”.
Dante, allora, si gira e nel fiammeggiar dell’anima santa di Cacciaguida riconosce la voglia di parlargli ancora: “In questo quinto cielo di Marte ci sono spiriti che in terra furono famosi. Te li indicherò!”. Sono otto anime che, appena nominate, guizzano veloci e luminose lungo la croce. Uno, per il suo roteare, assomiglia a una trottola. Poi Cacciaguida riprende il suo posto e il suo canto.
Dante guarda Beatrice per capire che fare. La vede con gli occhi tanto puri e giocondi da renderla ancora più bella dell’ultima volta che l’ha guardata. S’accorge così di essere nel cielo successivo che ha una circonferenza più vasta. E come in poco tempo una donna rossa di vergogna diventa bianca così il rosso di Marte si trasmuta nel candore de la sesta stella di Giove.
Gli sfavillanti spiriti di quel cielo, come augelli surti in schiere diverse da un fiume da cui si sono dissetati, disegnano delle lettere dell’alfabeto, or D, or I, or L. Prima si muovono al ritmo del loro canto, poi, una volta acquisita la forma di una lettera, si fermano e tacciono. Si mostrano cinque volte sette, cioè 35, vocali e consonanti: “diligite iustitiam qui iudicatis terram” che, tradotto dal latino, significa “Amate la giustizia voi che giudicate il mondo”. Questa scritta è come un ricamo d’oro sull’argento del cielo. Sull’ultima emme del quinto vocabolo si dispongono, cantando, più di altre mille luci: ne nasce, per trasformazione successiva, prima un giglio capovolto e poi un’aquila. È questo ciò che Dio dipinge lì.
Dante, consapevole che la dolce stella di Giove influenza la giustizia degli uomini, prega Dio perché guardi giù sulla terra e s’adiri del comperare e vender dentro alla curia papale, un cattivo essemplo per gli uomini. Un tempo si faceva guerra con le spadeor con le scomuniche. Pensi il papa come in cielo Pietro e Paulo, che morirono martiri per la fede, ancor son vivi. Certo il papa ben può dire: “Il santo a cui mi rivolgo con ardore è Giovanni Battista, quello impresso sul fiorino d’oro e non conosco né Pietro né Polo”.
Canto integrale
Già si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l'acerbo;
e quella donna ch'a Dio mi menava
disse: «Muta pensier; pensa ch'i' sono
presso a colui ch'ogne torto disgrava».
Io mi rivolsi a l'amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui l'abbandono:
non perch'io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può redire
sovra sé tanto, s'altri non la guidi.
Tanto poss'io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,
fin che 'l piacere etterno, che diretto
raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lume d'un sorriso,
ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
ché non pur ne' miei occhi è paradiso».
Come si vede qui alcuna volta
l'affetto ne la vista, s'elli è tanto,
che da lui sia tutta l'anima tolta,
così nel fiammeggiar del folgór santo,
a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.
El cominciò: «In questa quinta soglia
de l'albero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,
spiriti son beati, che giù, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
sì ch'ogne musa ne sarebbe opima.
Però mira ne' corni de la croce:
quello ch'io nomerò, lì farà l'atto
che fa in nube il suo foco veloce».
Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosuè, com'el si feo;
né mi fu noto il dir prima che 'l fatto.
E al nome de l'alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo.
Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com'occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
e 'l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
Indi, tra l'altre luci mota e mista,
mostrommi l'alma che m'avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato;
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l'ultimo solere.
E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l'uom di giorno in giorno
s'accorge che la sua virtute avanza,
sì m'accors'io che 'l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
veggendo quel miracol più addorno.
E qual è 'l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando 'l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé m'avea ricolto.
Io vidi in quella giovial facella
lo sfavillar de l'amor che lì era,
segnare a li occhi miei nostra favella.
E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera,
sì dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l'un di questi segni,
un poco s'arrestavano e taciensi.
O diva Pegasea che li 'ngegni
fai gloriosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e ' regni,
illustrami di te, sì ch'io rilevi
le lor figure com'io l'ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette.
'DILIGITE IUSTITIAM', primai
fur verbo e nome di tutto 'l dipinto;
'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai.
Poscia ne l'emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d'oro distinto.
E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l'emme, e lì quetarsi
cantando, credo, il ben ch'a sé le move.
Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,
resurger parver quindi più di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
sì come 'l sol che l'accende sortille;
e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco.
Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtù ch'è forma per li nidi.
L'altra beatitudo, che contenta
pareva prima d'ingigliarsi a l'emme,
con poco moto seguitò la 'mprenta.
O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!
Per ch'io prego la mente in che s'inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond'esce il fummo che 'l tuo raggio vizia;
sì ch'un'altra fiata omai s'adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si murò di segni e di martìri.
O milizia del ciel cu' io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti sviati dietro al malo essemplo!
Già si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che 'l pio Padre a nessun serra.
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: «I' ho fermo 'l disiro
sì a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro,
ch'io non conosco il pescator né Polo».
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