Argomento del canto
Preghiera di Beatrice alle anime – San Pietro – Esame di Dante sulla fede – Compiacimento dei beati e di san Pietro.
Dopo le 15 del 31 marzo (o 14 aprile).
Beatrice si rivolge a quelle anime liete per pregarle di appagare l’immenso desiderio di beatitudine di Dante con qualche briciola di sapere che cade dalla loro mensa. Che lo dissetino, loro che bevono dalla fonte di quel desiderio che è Dio. Danzano differente-mente quelle anime, fiammando forte come comete e girando veloci e lente.
Dante nota un foco felice, bello e chiaro più degli altri che gira tre volte intorno a Beatrice con un canto tanto divino che nemmeno la fantasia può riprodurlo: “O santa sorella mia -dice la corona danzante- ci preghi sì divota e con ardente affetto da indurmi a staccarmi dal cerchio di fuoco”. E lei: “O luce etterna di san Pietro a cui Nostro Signor lasciò le chiavi, esamina costui, come ti piace, intorno de la fede. Se lui ama bene e bene spera e crede, non t’è nascosto. È ben che lui glorifichi la fede perché i civi di questo regno ne sono l’espressione”.
Come lo studente, nell’attesa che il maestro proponga la questione da dibattere, s’arma di argomentazioni per prepararsi alla discussione, così Dante s’arma d’ogne ragione mentre parla Beatrice. San Pietro chiede spirando che cosa è fede e Dante, ottenuta da Beatrice con un cenno l’autorizzazione a far conoscere i concetti che dentro gli rampollano, risponde: “Dio mi aiuti! O padre, come scrisse san Paolo, che insieme a te mise Roma sulla retta via, fede è fondamento delle cose sperate e prova di quelle che non si vedono”. Pietro approva, ma vuole che Dante chiarisca meglio. Lo fa con competenza teologica e filosofica. Pietro lo loda. Adesso vuole sapere se ha nella sua borsa la moneta della fede. Certo, ce l’ha lucida e tonda, dal conio indubitabile. Dalla luce profonda di Pietro, esce un’altra domanda: “La cara gioia della fede da dove ti venne?” “Dalle Sacre scritture ispirate dallo Spirito Santo, di fronte alle quali tutto il resto appare ottuso”. Ma Pietro incalza: “Come puoi essere sicuro che siano parola divina?”. “La prova sono i miracoli che ne seguirono” risponde Dante, ma non è ancora sufficiente.
“Chi t’assicura che ci furono realmente? A documentarli c’è solo la Bibbia di cui stiamo proprio discutendo la verità”. Dante a questo punto utilizza un argomento a cui Pietro non replica più: il miracolo più grande è stato l’adesione del mondo al cristianesimo tanto più sorprendente per la povertà di Pietro, buon agricoltore della vite di Cristo, la Chiesa, ora degenerata in rovo.
I beati dell’alta corte santa lodano Dio e Pietro, quel cavaliere della fede che lo ha essaminato e approvato, vuole ora e conclusivamente sapere in che cosa Dante creda: “Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto ‘l ciel move, senza lui stesso muoversi, con amore e disio. E credo in tre persone etterne, e queste credo essere una essenza, che è una e trina insieme. Me lo insegna anche la dottrina evangelica”.
Benedicendolo cantando, Pietro, appena Dante, come suo obbediente servo, tace, lo cinge tre volte sì nel dire gli è piaciuto.
Canto integrale
«O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
sì, che la vostra voglia è sempre piena,
se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba,
ponete mente a l'affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa».
Così Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, a volte, a guisa di comete.
E come cerchi in tempra d'oriuoli
si giran sì, che 'l primo a chi pon mente
quieto pare, e l'ultimo che voli;
così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.
Di quella ch'io notai di più carezza
vid'io uscire un foco sì felice,
che nullo vi lasciò di più chiarezza;
e tre fiate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice.
Però salta la penna e non lo scrivo:
ché l'imagine nostra a cotai pieghe,
non che 'l parlare, è troppo color vivo.
«O santa suora mia che sì ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe».
Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzò lo spiro,
che favellò così com'i' ho detto.
Ed ella: «O luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
ch'ei portò giù, di questo gaudio miro,
tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.
S'elli ama bene e bene spera e crede,
non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi
dov'ogne cosa dipinta si vede;
ma perché questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a gloriarla,
di lei parlare è ben ch'a lui arrivi».
Sì come il baccialier s'arma e non parla
fin che 'l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla,
così m'armava io d'ogne ragione
mentre ch'ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione.
«Di', buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che è? ». Ond'io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo;
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch'io spandessi
l'acqua di fuor del mio interno fonte.
«La Grazia che mi dà ch'io mi confessi»,
comincia' io, «da l'alto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi».
E seguitai: «Come 'l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo,
fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate».
Allora udi' : «Dirittamente senti,
se bene intendi perché la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
E io appresso: «Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di là giù son sì ascose,
che l'esser loro v'è in sola credenza,
sopra la qual si fonda l'alta spene;
e però di sustanza prende intenza.
E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz'avere altra vista:
però intenza d'argomento tene».
Allora udi' : «Se quantunque s'acquista
giù per dottrina, fosse così 'nteso,
non lì avria loco ingegno di sofista».
Così spirò di quello amore acceso;
indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
d'esta moneta già la lega e 'l peso;
ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa».
Ond'io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
che nel suo conio nulla mi s'inforsa».
Appresso uscì de la luce profonda
che lì splendeva: «Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtù si fonda,
onde ti venne?». E io: «La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch'è diffusa
in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,
è silogismo che la m'ha conchiusa
acutamente sì, che 'nverso d'ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa».
Io udi' poi: «L'antica e la novella
proposizion che così ti conchiude,
perché l'hai tu per divina favella?».
E io: «La prova che 'l ver mi dischiude,
son l'opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai né batte incude».
Risposto fummi: «Di', chi t'assicura
che quell'opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
«Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo»,
diss'io, «sanza miracoli, quest'uno
è tal, che li altri non sono il centesmo:
ché tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu già vite e ora è fatta pruno».
Finito questo, l'alta corte santa
risonò per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che là sù si canta.
E quel baron che sì di ramo in ramo,
essaminando, già tratto m'avea,
che a l'ultime fronde appressavamo,
ricominciò: «La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca t'aperse
infino a qui come aprir si dovea,
sì ch'io approvo ciò che fuori emerse;
ma or conviene espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua s'offerse».
«O santo padre, e spirito che vedi
ciò che credesti sì, che tu vincesti
ver' lo sepulcro più giovani piedi»,
comincia' io, «tu vuo' ch'io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti.
E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,
non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verità che quinci piove
per Moisè, per profeti e per salmi,
per l'Evangelio e per voi che scriveste
poi che l'ardente Spirto vi fé almi;
e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza sì una e sì trina,
che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.
De la profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
più volte l'evangelica dottrina.
Quest'è 'l principio, quest'è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla».
Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto ch'el si tace;
così, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com'io tacqui,
l'appostolico lume al cui comando
io avea detto: sì nel dir li piacqui!
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