Argomento del canto
Ripresa del cammino e incontro con le anime degli scomunicati - Manfredi
Prime ore del mattino del 27 marzo (o 10 aprile), Pasqua.
Le anime sono in fuga verso il monte del Purgatorio e Dante si stringe a Virgilio che è scosso dal rimprovero di Catone. Eppure è stato un picciol fallo, ma per la sua dignitosa coscienza è amaro morso! Dante è consapevole che sanza lui non potrebbe procedere e, senza più fretta, desideroso del nuovo, alza il viso verso il monte che dislaga, esce cioè dalle acque.
Lo sol alle spalle disegna solo la sua ombra sulla terra oscura: dov’è quella di Virgilio? Che paura! Lo ha forse abbandonato? È Virgilio che lo rassicura che la sua guida non verrà mai meno e spiega che non può fare ombra perché il suo corpo è sepolto a Napoli dove ora è sera. Eppure le anime, come lui senza corpo fisico, soffrono tormenti, caldi e geli. Sarebbe matto chi volesse capire, con la nostra ragione, misteri come questo e quello della trinità: se questa bastasse, menti come Aristotele e Plato e molt’altri avrebbero quietato il loro desio di conoscere invece di essere etternalmente puniti nel limbo. Lo dice a fronte china e turbato.
I due poeti arrivano a piè del monte dove la roccia erta impedisce di salire a chi è sanz’ala. Virgilio si concentra pensieroso sul percorso, mentre Dante si guarda attorno quando vede un gruppo d’anime che avanzano ver loro lente quasi da sembrare ferme. Potranno indicare loro la strada, suggerisce Dante a Virgilio che, rincuorato, lo chiama dolce figlio. Le anime, ancora un po’ lontane, si fermano e si stringono tra loro ai duri massi com’a guardar dubbiose. È Virgilio che chiede la via ché perder tempo a chi più sa più spiace. Come le pecorelle a una, a due, a tre escon dal recinto e ciò che fa la prima fanno l’altre, semplici e quete, così le anime si avvicinano. Si ritraggono maravigliate quando vedono che Dante fa ombra. “È corpo uman, ma è aiutato dal cielo” così Virgilio che le richiama, coi dossi de le man, e le invita a camminare innanzi a loro.
Uno spirito chiede a Dante se lo riconosce. È biondo e bello e di gentile aspetto, ma ha un sopracciglio spaccato da un fendente. Dante umilmente nega di averlo visto mai. Lo spirito gli mostra una piaga ‘l petto e sorridendo racconta la sua storia. È Manfredi, figlio dell’imperatore Federico II, sconfitto, insieme ai ghibellini italiani, e morto in battaglia nel 1266 a Benevento. Prega Dante di ricordarlo, quando sarà tornato sulla terra, alla sua bella figliaCostanza, regina d’Aragona, perché forse altro si dice della sua sorte. Colpito da due ferite mortali, si affidò piangendo a Dio che, bontà infinità, volentier perdona anche peccati orribili come i suoi. Il vescovo di Cosenza, che fu messo alla sua caccia dal papa in quanto scomunicato e avversario politico, lo dissotterrò e sparse le sue ossa, a lume spento, alla pioggia e al vento: il vescovo non aveva capito che l’etterno amore di Dio consente il pentimento e la salvezza a dispetto delle maledizion della Chiesa. Chi muore scomunicato, anche se si pente in fin di vita, deve, però, restare fuori dal Purgatorio trenta volte il tempo che è rimasto nel suo errore presuntuoso a meno che buon prieghi non ne accorcino la permanenza. Sarebbe lieto Manfredi se Dante potesse avvisare la sua buona Costanza di pregare per lui in modo da farlo avanzare più rapido verso la purificazione.
Testo del canto
Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,
i' mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna?
El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t'è picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,
lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi 'l viso mio incontr'al poggio
che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m'era dinanzi a la figura,
ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.
Io mi volsi dallato con paura
d'essere abbandonato, quand'io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;
e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e ch'io ti guidi?
Vespero è già colà dov'è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.
Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
non ti maravigliar più che d'i cieli
che l'uno a l'altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ché se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch'etternalmente è dato lor per lutto:
io dico d'Aristotile e di Plato
e di molt'altri»; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.
«Or chi sa da qual man la costa cala»,
disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
«sì che possa salir chi va sanz'ala?».
E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,
da man sinistra m'apparì una gente
d'anime, che movieno i piè ver' noi,
e non pareva, sì venian lente.
«Leva», diss'io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».
Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio».
Ancora era quel popol di lontano,
i' dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,
quando si strinser tutti ai duri massi
de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.
«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,
ditene dove la montagna giace
sì che possibil sia l'andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace».
Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;
sì vid'io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l'andare onesta.
Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l'ombra era da me a la grotta,
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.
«Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che 'l lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete».
Così 'l maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi dossi de le man faccendo insegna.
E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se', così andando, volgi 'l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque».
Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
Quand'io mi fui umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond'io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.
Poscia ch'io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.
Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l'ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
dov'e' le trasmutò a lume spento.
Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.
Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,
per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
in sua presunzion, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m'hai visto, e anco esto divieto;
ché qui per quei di là molto s'avanza».
I nostri Mecenate
SicComeDante è un progetto gestito dall'Associazione Culturale inPrimis - APS. Se vuoi sostenere questo progetto, puoi fare una donazione e, a seconda dell'importo, sarai pubblicato tra i nostri Mecenate accanto al tuo canto, terzina o verso preferito. Scopri di più o dona ora.